“No al colpo di spugna sui reati ambientali che minacciano la salute dei cittadini, la buona economia e la sicurezza del nostro Paese”

Appello di Legambiente, WWF e Greenpeace alla ministra della Giustizia Marta Cartabia e al premier Mario Draghi: “Il Governo inserisca i delitti ambientali introdotti nel nostro Codice penale tra quelli di particolare gravità e complessità che richiedono tempi più lunghi per lo svolgimento delle indagini e dei processi”

Dal 2015 al 2020 sono più di quattromila i procedimenti penali avviati dalle Procure, con 12.733 persone denunciate e 3.989 ordinanze emesse di custodia cautelare per delitti che vanno dall’inquinamento al disastro ambientale fino al traffico illecito di rifiuti. Un lavoro straordinario che senza la modifica dell’attuale testo del Governo verrà semplicemente spazzato via

L’Italia rischia di fare un clamoroso passo indietro nella tutela dell’ambiente, cancellando, con un colpo di spugna, migliaia di procedimenti penali già in corso per i delitti ambientali introdotti nel nostro Codice penale con la legge 68 del 2015 e le successive modifiche. Episodi gravissimi resteranno, di fatto, impuniti se il Governo non farà proprio l’emendamento già presentato da parlamentari di diverse forze politiche, prima firmataria l’on. Rossella Muroni, con il quale si chiede di inserire questi delitti tra quelli di particolare gravità e complessità per cui sono previsti tempi più lunghi per lo svolgimento delle indagini e dei processi.

“Il nostro Paese ha atteso ben 21 anni prima di vedere introdotte nel Codice penale, con una riforma di civiltà, adeguate misure sanzionatorie contro delitti di estrema gravità come l’inquinamento, il disastro ambientale, l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, l’omessa bonifica”, affermano in una nota congiunta Legambiente, WWF e Greenpeace. “Chiediamo al Governo di modificare il testo in discussione alla Camera per evitare che tutte le indagini e i processi già avviati grazie a quelle norme votate da un’ampia maggioranza in Parlamento vengano vergognosamente cancellate”.

Basta scorrere le notizie di cronaca sulle inchieste messe a segno ogni giorno dalle Forze dell’ordine e dalla Magistratura per comprendere la gravità dei fatti su cui s’indaga: dai fanghi tossici sparsi sui terreni agricoli del Nord Italia alla devastazione delle scogliere della costa campana e dei Faraglioni di Capri per la pesca illegale del dattero di mare; dai depuratori che inquinano le coste della Calabria e della Sicilia al disastro ambientale causato dall’ex Ilva di Taranto, fino all’inquinamento da pfas nelle acque potabili del Veneto. L’efficacia di queste azioni di contrasto a crimini che compromettono l’ambiente e la salute umana è garantita dagli strumenti repressivi introdotti nel codice penale, peraltro in attuazione degli standard di tutela delineati dalla normativa europea.

I dati, raccolti ed elaborati dal Ministero della Giustizia e pubblicati ogni anno nel Rapporto Ecomafia di Legambiente, parlano chiaro: dal 2015 al 2020 sono 4.636 i procedimenti penali avviati dalle procure italiane (di cui 623 archiviati), con 12.733 persone denunciate e 3.989 ordinanze di custodia cautelare. Sono risultati che testimoniano un impegno straordinario delle Forze dell’ordine a fronte di reati di particolare complessità dal punto di vista giuridico e degli accertamenti tecnico-scientifici necessari per accertare quanto è accaduto, a cui già oggi è difficile fare fronte senza un potenziamento delle strutture dello Stato, a cominciare dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, delegate al sistema dei controlli, come richiesto a gran voce ma finora invano.

Senza la modifica chiesta da Legambiente, WWF e Greenpeace al testo presentato dal Governo, la cosiddetta riforma Cartabia, verrà di fatto tradita qualsiasi speranza di ottenere giustizia in nome del popolo inquinato.

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