Stop alla pista da bob a Cortina e alla copertura dell’ice rink di Piné. Legambiente: «La logica tutta italiana delle grandi opere in emergenza va superata. Il rilancio della montagna non passa dalla costruzione di nuove cattedrali nel deserto».

«Saranno i Giochi invernali più sostenibili e memorabili di sempre»: così venivano presentate le future Olimpiadi Milano Cortina 2026 nel dossier di candidatura. Ma, intenzioni a parte, almeno due delle quattordici sedi di gara sollevano grossi dubbi sulla sostenibilità economica e ambientale: la ricostruzione della pista da bob “Osvaldo Monti” di Cortina e l’intervento di copertura dell’ovale del ghiaccio per il pattinaggio di velocità, a Baselga di Piné, in Trentino. Lo stesso Comitato Internazionale Olimpico da tempo chiede all’Italia di utilizzare, per queste discipline, sedi di gara non lontane, ma già strutturate per ospitare i Giochi.

Legambiente si unisce a questa richiesta: «Oggi abbiamo l’occasione di non ripetere gli errori commessi per Torino 2006, – afferma Vanda Bonardo responsabile Alpi di Legambiente. – Sulle montagne piemontesi sono rimasti in eredità almeno un paio di veri e propri ecomostri. La pista da bob, in particolare, è costata 110 milioni di Euro e non è mai stata utilizzata dopo le Olimpiadi. Noi ambientalisti avevamo chiesto di gareggiare nelle strutture preesistenti della vicina Albertville e non siamo stati ascoltati. A poco sono servite le considerazioni postume sulla problematicità degli impianti da parte dell’ex sindaco Castellani. Allora non c’è stato l’ardire, o la volontà di compiere una scelta innovativa. Chissà se ora, a venti anni di distanza e a un po’ di decimi di grado in più di temperatura, si troverà il coraggio e il buon senso di utilizzare l’impianto di bob di Cesana  per le Olimpiadi 2026. Oppure la pista di Innsbruck, in Austria».

A Cortina la storica pista da bob, che ospitò le gare iridate del 1956, abbandonata dal 2008, è totalmente inadeguata agli attuali standard del bob, slittino e skeleton. Quella che viene definita una “ristrutturazione” è in realtà un rifacimento vero e proprio, con aumento del consumo di suolo in un’area già fortemente antropizzata. Il costo stimato, a dossier, era di circa 50 milioni di Euro con finanziamento pubblico, già saliti a 63 secondo le stime del CIO.

A Baselga di Piné, gli investimenti per la copertura e il rifacimento degli impianti di produzione del ghiaccio per la pista di pattinaggio erano stimati a circa 52 milioni, ma si parla già di 70 milioni. L’alternativa è ospitare le gare di pattinaggio nell’Oval Lingotto di Torino, inutilizzato dopo le Olimpiadi di Torino 2006.

Il rischio è di avere poi impianti in perdita, come insegna l’esempio piemontese, anche perché il numero di chi pratica queste discipline è piuttosto ridotto. Per esempio, il CIO ritiene che ci sia il rischio di un deficit tra i 570 e gli 830 mila euro all’anno per l’Ice Rink di Piné.

Ma non è solo questione di soldi che potrebbero essere risparmiati, la pista da bob e la copertura dell’ice rink sono molto in ritardo con i tempi. In base al dossier di candidatura, l’inizio dei lavori di costruzione delle due opere era previsto per giugno 2021, cosa impensabile allo stato attuale. Per completare le strutture la stima è che servano 40 mesi. Non c’è certezza di arrivare in tempo a ottobre 2024, per consentire lo svolgimento delle gare preolimpiche.

«La logica delle grandi opere in emergenza, che in Italia abbiamo visto tante volte, va superata. – conclude Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente. – Per questo chiediamo di rivedere questi progetti con un’attenta valutazione che dia priorità all’utilizzo di impianti esistenti, riducendo i costi economici e ambientali, tanto più in un momento di crisi e di grande incertezza, come quello che stiamo vivendo. Il rilancio della montagna non passa dalla costruzione di nuove cattedrali nel deserto».

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